“Bendessa” di Cecilia McCamerons
“Butteresti via tuo figlio solo per un cromosoma in più?”
All’interno di un gruppo Facebook di mamme si parlava di aborto e, in un post in cui si accennava alla possibile soppressione di un feto con sindrome di Down, io ho scritto questo.
Apriti cielo. “Ognuno in propria coscienza deve essere libero di fare le sue scelte”, “non ti puoi permettere di giudicare”, “ma che termini usi? il bambino non lo butti via”, “con te non prenderei nemmeno un caffè”, “farà lei le sue scelte secondo coscienza”, “parli così perché sei sicuramente ignorante”, “è una sua scelta che avrà preso in coscienza”… Ecco l’idea delle risposte alla mia domanda.
Non so perché ma certi atteggiamenti, certe risposte non me le aspetterei da una donna, e perciò mi colpiscono di più. La mia “me” incazzosa manderebbe a quel paese tutti dopo i primi commenti denigratori, mentre quella ipertrofica vorrebbe salvare il mondo da sola e possibilmente subito, altro che libertà di scelta e libero arbitrio ecc. Ma la mia “me” idealista spera ancora nella coscienza buona dell’essere umano e in particolare della sua metà femminile, per natura propensa all’accoglienza e al sacrificio di sé. (Con questo non voglio assolutamente entrare – oggi – nella discussione donne-meglio-degli-uomini o viceversa: ringrazio semplicemente Dio perché ci siamo entrambi! Vi immaginate un mondo di sole donne magari col ciclo coincidente…?).
Sì, invece che “buttare” potevo scrivere “far uscire dall’utero artificialmente e prima del tempo così che non sopravviva” o “abortire terapeuticamente” ma non sono un’amante dell’antilingua e dei giri di parole: amo la verità.
Mi ha colpito molto l’insistente riproporsi della coscienza libera di ciascuno. Certo ognuno (maggiorenne capace di intendere e volere) decide da sé ma credo che possa fare una scelta davvero libera se conosce la verità, cioè che suo figlio c’è già, esiste anche se ha un numero di cromosomi maggiore o il labbro leporino o una mano mancante, non se gli raccontano che abortire è la fine della sofferenza sua e del figlio.
Che poi… decidere con criterio e lucidità di abortire non è pure un’aggravante? Vabbè.
Tutta questa ponderatezza mi fa pensare per contrasto netto all’imprevedibile, inspiegabilmente naturale Mistero dell’aborto spontaneo: una giovane amica qualche giorno fa ha dato alla luce la sua bimba morta. All’enorme dolore che può provocare questo evento nella vita di una mamma e di una famiglia, accosto il dolore dell’aborto “volontario” che però viene taciuto, nascosto – come un vero tabù – ma che prima o poi si presenta nella vita della donna, ma anche del papà.
Come ha trovato me, lascio a te, lettore, questo interessante intervento della dottoressa Cinzia Baccaglini intitolato “L’aborto non lascia traccia?”. Che ha come presupposto, per dirla con parole sue, “la verità nella carità, ma per carità la verità!”.
Lo stesso giorno di questa discussione mi raggiunge via radio la bellissima notizia della nascita al Policlinico Gemelli dell’Hospice Perinatale “non un luogo ma un modo di curare il feto e il neonato. Anche nelle condizioni patologiche più estreme si può dare speranza di prevenzione, cura e sollievo del dolore accompagnando non solo il feto con tutto l’approccio scientifico e clinico ma anche le famiglie. È questo il vero fondamento della medicina della speranza” https://it.zenit.org/articles/lhospice-perinatale-come-risposta-scientifica-etica-ed-umana-alla-diagnosi-prenatale/ Il prof. Giuseppe Noia, Direttore della UOC Hospice Perinatale del Gemelli, dice che questa iniziativa si pone tra “due modi di pensiero antropologicamente opposti: il primo vive dell’illusione che eliminando il sofferente si possa eliminare la sofferenza, il secondo invece nel rispetto più totale della preziosità della vita umana, senza guardare alle dimensioni dell’essere umano ma solamente al suo valore, cerca di prevenire le malattie, cerca di curarle, cerca di limitare i danni fisici e psicologici del malato e delle famiglie, cerca di lenire la sofferenza fisica e psicologica, forte dell’assunzione di tre metodologie per affrontare la sofferenza umana: prevenire, curare, lenire il dolore”.
Anche a noi spetta la scelta del mondo che vorremmo.
Alle mamme e ai papà che devono portare la croce di un aborto spontaneo, alle mamme a cui viene taciuta la verità, alle mamme consapevoli: bendessa!
L’ha ribloggato su l'ovvio e l'evidentee ha commentato:
Belle queste frasi:
“la verità nella carità, ma per carità la verità!”
“due modi di pensiero antropologicamente opposti: il primo vive dell’illusione che eliminando il sofferente si possa eliminare la sofferenza, il secondo invece nel rispetto più totale della preziosità della vita umana, senza guardare alle dimensioni dell’essere umano ma solamente al suo valore, cerca di prevenire le malattie, cerca di curarle, cerca di limitare i danni fisici e psicologici del malato e delle famiglie, cerca di lenire la sofferenza fisica e psicologica, forte dell’assunzione di tre metodologie per affrontare la sofferenza umana: prevenire, curare, lenire il dolore”.
E ora, scegliamo e scegliamo il bene!
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