“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Un anno fa terminava il percorso forte e sacro che ti ha portata alla luce, la sera piovosa del 5 agosto, giorno della dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore (da qui il tuo secondo nome: Maria).

Un anno fa ti ho abbracciata per la prima volta, dopo averti portata dentro per nove mesi: bella, pelatina, dai grandi occhioni, amore fattosi carne.

Un anno fa c’era (e continua ad esserci) con noi papà Marco, discreto ma essenziale.

 

Un anno fa non ho praticamente dormito quella notte, forse per la quantità di zuccheri-tè-biscotti ingerita, forse per l’adrenalina che ha spiazzato le endorfine, forse per l’ansia di non averti avuta in camera per qualche tempo a causa di controlli di routine (di qualità? come i prosciutti? Mai più), forse perchè i bimbi in camera con noi hanno pianto…

Un anno fa iniziava questa avventura che non terminerà mai.

Un anno fa.
Ora stai in piedi e accenni le prime passeggiate da sola, vai, temeraria e spericolata come sei. Ti aggrappi e poi mi guardi sorridendo come fai tu, coi tuoi dentini e le orecchie a sventola.
Comincia il lento (mica tanto!) distacco.

Buon primo compleanno Tesoro di mamma e papà, dono di Dio, grande, immeritato.
Bendessa per ogni sorriso, bendessa per ogni pianto, bendessa per ogni fatica, bendessa per ogni passeggiata con la fascia/il marsupio/il passeggino, bendessa per la pazienza che non basta mai… bendessa per quello che è stato, bendessa per quello che sarà.

Ti abbraccio forte Teresa Maria,
stra-bendessa, la tua mamma

 

 

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Se c’è una figlia c’è pure una mamma, in particolare la sua di mamma. Una mamma è tale perché c’è una figlia; una figlia è tale perché ha una mamma (e un papà, certamente).
Logico. Non c’è l’una senza l’altra.
Oggi c’è chi sostiene che “i figli si concepiscono nella testa” (letto su Facebook) o che sono di chi li vuole o di chi li “ama” (vedi la sentenza della corte a Trento). Una cosa terribile e aberrante che nega il diritto di ogni creatura di avere un padre e una madre, una famiglia.
Lo so che non va di moda dire che i figli vengono al mondo dall’amore di uno sposo e una sposa ma tant’è, infatti la verità è immutabile mica segue le mode no? Si obietterà che i figli nascono anche al di fuori del matrimonio, lo so bene, ma sempre da un uomo e da una donna e a me piace pensare alla famiglia come al luogo prescelto per la nascita e l’educazione dei figli. “La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda, e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore”, ma questo è un altro post.

Io sono diventata mamma 7 mesi (+ 9) fa: si diventa mamma da subito, dal concepimento. Non vorrete essere dei cripto-abortisti? 😉 Io infatti ho festeggiato la prima festa della mamma l’anno scorso col mio bel pancione 😍.

Quanti cambiamenti porta da subito con sé questo essere mamma: nausee, voglie strane (io di olive e cetriolini sott’aceto), la pancia che cresce e occupa sempre più spazio, sbalzi di umore, lacrime di felicità e inadeguatezza. Poi si aggiungono le notti insonni, giorni che diventano notti, pannolini da cambiare ad ogni ora, pianti, capelli arruffati e occhiaie, solitudine e pianti, male al seno, routine stravolta…
Lo ammetto, non pensavo fosse così difficile essere mamma, avevo un’idea molto idealizzata ma per amore e per quel legame ormonale speciale che lega la mamma alla sua creatura, la fatica si trasforma davvero in gioia e meraviglia, si accompagna a stupore e commozione.

E allora bendessa figlia mia, Teresa Maria, di avermi messo e mettermi tutt’ora in discussione, di farmi crescere, di spronarmi a migliorare per te, per essere una mamma migliore.
Bendessa, fragolina mia, per il tuo profumo, i tuoi sorrisi, le manine che afferrano, le guanciotte rosse da mangiare, gli occhietti vispi, la risatina cristallina e i gorgheggi sbavosi.
Bendessa amorino mio, perché sei un essere diverso da me e hai i tuoi bisogni, i tuoi tempi, i tuoi diritti: non sei un bambolotto per farmi felice ma io e papà abbiamo il dovere di renderti felice.

Bendessa Teresina dalla tua mamma!

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Ai giorni nostri guardare un film non è un’attività così insolita, no? Invece è piuttosto insolito trovarsi a guardare un bel film, uno bello davvero. Da quando sono sposata ci concediamo assieme almeno un film a settimana, spesso preso in prestito dalla biblioteca che qui a Trento è ben fornita. Non abbiamo però proprio gli stessi gusti, io e il mio maritino, infatti lo prendo in giro perché lui ragiona a “Oscar”: ovvero se il film ha vinto tante statuine dorate o riconoscimenti internazionali allora dev’essere per forza una gran pellicola, un qualcosa da non perdere. Io invece devo sapere assolutamente la trama e il genere perché vorrei evitare storie troppo tristi o senza senso o troppo splatter o troppa violenza ecc. (con le dovute eccezioni tipo la serie dei Fast and Furious, Braveheart, Balle spaziali…).

Nelle nostre serate ci è capitato di incappare in alcuni – grazie a Dio pochissimi – film che veramente ti fanno venire il voltastomaco per la trama e le immagini, e ti chiedi quali problemi psichici o traumi possa avere avuto il regista che ha concepito una storia del genere e perché non occupa il suo tempo in modo più utile, tipo asfaltare le strade e pulire gli argini dei fiumi. Mah.

Lasciando da parte la brutta cinematografia, vorrei parlare di “Once”, un film del 2006 ambientato a Dublino, che io avevo già visto ma che mi sarebbe (e poi è) piaciuto guardare di nuovo assieme al maritino mio. È un film di rara bellezza e poesia, realizzato senza particolari pretese e budget ma con una gran colonna sonora che è parte integrante della narrazione.

Senza spoiler, è la storia di un musicista irlandese che si guadagna da vivere aggiustando elettrodomestici e suonando per la strada: di giorno le canzoni che le persone conoscono, di notte brani scritti e composti da lui. Una sera incontra una ragazza ceca e la loro passione comune, la musica, crea un rapporto profondo tra i due che, tra chiacchierate, passeggiate e canzoni, li spinge ad aiutarsi reciprocamente nel tentativo di realizzare i propri desideri e sogni, professionali e sentimentali.

Un film delicato ma ben ancorato alla realtà, che tocca i temi dell’amore, della famiglia, dell’altruismo, del passato, delle ferite che ognuno si porta dentro, del perdono. Come dicevo prima, la colonna sonora è parte integrante della narrazione perché le canzoni sono quelle scritte dal protagonista (e non solo) e il testo viene pure tradotto sullo schermo per facilitarne la comprensione.

Ebbene sì, alla fine ho pianto, pianto tanto per la gioia e la bellezza rivelata. 
Lo consiglio a tutti, giovani e non, sposati e non.

Una boccata d’aria fresca in questo tempo dove sembra che le relazioni tra uomo e donna si basino solo sull’emozione, il dominio e il (pos)sesso.
 Una perla preziosa della sana cinematografia, con buona pace delle statuette e palme dorate.

Bendessa!

P.S. Il chitarrista/bassista dei Mienmiuaif dovrà poi spiegarci se è stato lui a prendere spunto dal protagonista o viceversa! Noto con simpatia una certa somiglianza fisica e musicale! Bendessa 😀

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

“Butteresti via tuo figlio solo per un cromosoma in più?”

All’interno di un gruppo Facebook di mamme si parlava di aborto e, in un post in cui si accennava alla possibile soppressione di un feto con sindrome di Down, io ho scritto questo.

Apriti cielo. “Ognuno in propria coscienza deve essere libero di fare le sue scelte”, “non ti puoi permettere di giudicare”, “ma che termini usi? il bambino non lo butti via”, “con te non prenderei nemmeno un caffè”, “farà lei le sue scelte secondo coscienza”, “parli così perché sei sicuramente ignorante”, “è una sua scelta che avrà preso in coscienza”… Ecco l’idea delle risposte alla mia domanda.

Non so perché ma certi atteggiamenti, certe risposte non me le aspetterei da una donna, e perciò mi colpiscono di più. La mia “me” incazzosa manderebbe a quel paese tutti dopo i primi commenti denigratori, mentre quella ipertrofica vorrebbe salvare il mondo da sola e possibilmente subito, altro che libertà di scelta e libero arbitrio ecc. Ma la mia “me” idealista spera ancora nella coscienza buona dell’essere umano e in particolare della sua metà femminile, per natura propensa all’accoglienza e al sacrificio di sé. (Con questo non voglio assolutamente entrare – oggi – nella discussione donne-meglio-degli-uomini o viceversa: ringrazio semplicemente Dio perché ci siamo entrambi! Vi immaginate un mondo di sole donne magari col ciclo coincidente…?).

Sì, invece che “buttare” potevo scrivere “far uscire dall’utero artificialmente e prima del tempo così che non sopravviva” o “abortire terapeuticamente” ma non sono un’amante dell’antilingua e dei giri di parole: amo la verità.
Mi ha colpito molto l’insistente riproporsi della coscienza libera di ciascuno. Certo ognuno (maggiorenne capace di intendere e volere) decide da sé ma credo che possa fare una scelta davvero libera se conosce la verità, cioè che suo figlio c’è già, esiste anche se ha un numero di cromosomi maggiore o il labbro leporino o una mano mancante, non se gli raccontano che abortire è la fine della sofferenza sua e del figlio.
Che poi… decidere con criterio e lucidità di abortire non è pure un’aggravante? Vabbè.

Tutta questa ponderatezza mi fa pensare per contrasto netto all’imprevedibile, inspiegabilmente naturale Mistero dell’aborto spontaneo: una giovane amica qualche giorno fa ha dato alla luce la sua bimba morta. All’enorme dolore che può provocare questo evento nella vita di una mamma e di una famiglia, accosto il dolore dell’aborto “volontario” che però viene taciuto, nascosto – come un vero tabù – ma che prima o poi si presenta nella vita della donna, ma anche del papà.

Come ha trovato me, lascio a te, lettore, questo interessante intervento della dottoressa Cinzia Baccaglini intitolato “L’aborto non lascia traccia?”.  Che ha come presupposto, per dirla con parole sue, “la verità nella carità, ma per carità la verità!”.

Lo stesso giorno di questa discussione mi raggiunge via radio la bellissima notizia della nascita al Policlinico Gemelli dell’Hospice Perinatale “non un luogo ma un modo di curare il feto e il neonato. Anche nelle condizioni patologiche più estreme si può dare speranza di prevenzione, cura e sollievo del dolore accompagnando non solo il feto con tutto l’approccio scientifico e clinico ma anche le famiglie. È questo il vero fondamento della medicina della speranza”  https://it.zenit.org/articles/lhospice-perinatale-come-risposta-scientifica-etica-ed-umana-alla-diagnosi-prenatale/ Il prof. Giuseppe Noia, Direttore della UOC Hospice Perinatale del Gemelli, dice che questa iniziativa si pone tra “due modi di pensiero antropologicamente opposti: il primo vive dell’illusione che eliminando il sofferente si possa eliminare la sofferenza, il secondo invece nel rispetto più totale della preziosità della vita umana, senza guardare alle dimensioni dell’essere umano ma solamente al suo valore, cerca di prevenire le malattie, cerca di curarle, cerca di limitare i danni fisici e psicologici del malato e delle famiglie, cerca di lenire la sofferenza fisica e psicologica, forte dell’assunzione di tre metodologie per affrontare la sofferenza umana: prevenire, curare, lenire il dolore”.

Anche a noi spetta la scelta del mondo che vorremmo.

Alle mamme e ai papà che devono portare la croce di un aborto spontaneo, alle mamme a cui viene taciuta la verità, alle mamme consapevoli: bendessa!

 

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Ci sono dei giorni in cui tutto scorre normale e altri invece dove capitano cose strane e impreviste e magari pure improvvise che quasi non te ne rendi conto.

(Astenersi animalisti che non hanno a cuore l’uomo.)

Ebbene l’altra sera è successo a me e mio Marito. Abbiamo investito un cinghiale con la nostra auto. (Dico abbiamo perché in auto c’ero anche io ma guidava mio Marito, eh, che non saltino fuori commenti sulle donne che non sanno guidare! Scherzo 😉 ).

Strada buia, occhi pieni della bellezza di Palmanova, il paese appena visitato, la pancia sazia di una buonissima pizza, recita del Rosario, cielo nero stellato sopra di noi, campi a destra e sinistra della strada e all’improvviso… l’impatto con la bestia. Bestia che è morta sul colpo. Io invece sono quasi morta ma solo di paura. Mio Marito frena, mantiene la traiettoria retta (e la calma, a differenza di me che ho avuto qualche secondo di terrore urlante e svariati minuti di nervi a fior di pelle) e si sincera che io e il pancione stiamo bene. Cominciamo col telefonare ai Carabinieri, che ci danno il numero del veterinario, che ci da il numero di quelli della Riserva… la faccenda si fa lunga.

Credo che questo nostro incidente sia stato un Miracolo. E vi illustro le prove.
 L’urto è avvenuto in concomitanza della fine del canto del Salve Regina quindi Maria, Regina del Rosario nel mese dedicato a lei, era con noi. Il grosso animale lo abbiamo centrato in pienissimo e, nonostante i considerevoli danni a tre zeri, l’auto non si è distrutta né spenta né ha perso liquidi di nessun tipo né la sua corsa è stata deviata e la ventola del radiatore non ha mai smesso di funzionare così come i fari. Noi completamente illesi, anche la cucciola nel pancione. E come ultima, anzi prima, una piccola multa presa nei giorni scorsi ci ha evitato conseguenze ben peggiori da questo incidente animalesco.
 Coincidenze? Io le chiamo DIOincidenze!

Ecco, miracoli ne accadono continuamente ogni giorno – non auguro a nessuno di rendersene conto dopo l’impatto con un grosso cinghiale – ma forse ogni tanto abbiamo bisogno di una svegliata e di aprire gli occhi.

Oltre a questo aiuto soprannaturale abbiamo sperimentato quello umano – essenziale anch’esso – e sono grata di come ci siano ancora in giro per il nostro bel Paese “buoni samaritani” che sono disponibili a fermarsi e a dare aiuto a due “stranieri” bisognosi e storditi, dispersi nel buio della loro terra. E magari a fare due battute su una bella cena a base di ragù di cinghiale!

In questo caso è giusto dire Stra-Bendessa!

P.S.

Sono rimasta meravigliata anche del fatto che nessuno fra quelli che si sono fermati ci ha fatto la ramanzina sul “povero animaletto ucciso”, nemmeno i signori della riserva che si sono portati via la carcassa di circa 70 kg (che dopo l’autopsia del veterinario è diventata cibo per grifoni…). Ci hanno spiegato che in quella zona incidenti come il nostro sono numerosissimi perché la popolazione dei cinghiali, e di altre bestie come i caprioli, è cresciuta a dismisura e crea anche ingenti danni alle coltivazioni: in pianura è molto più facile trovare cibo che sulle colline. All’astratta ideologia cittadino-borghese si contrappone la sana concretezza della quotidianità della periferia-contadina che tutti i giorni ha a che fare con i “poveri animaletti”.

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

“Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” scrive Isaia al capitolo 55 versetto 8. E certe volte è una verità così lampante che mette quasi tranquillità.

Detto fatto e contro ogni idilliaca previsione umana vacanziera, può capitare di passare le feste di Pasqua e il triduo in una casa-lazzaretto. Sì perché abitando insieme a più persone capita anche di condividere amorevolmente virus e batteri e, a ruota, a qualcuno tocca il ruolo di untore.

Non vi dico i musi lunghi per i progetti andati in fumo: essenzialmente sistemare la cantina, partecipare alle celebrazioni in Duomo, quell’incontro finalmente messo in agenda e il pranzo domenicale a famiglia allargata (ma non è detta l’ultima parola!).

La malattia però ti permette di rallentare, quando non ti blocca del tutto, e ti fa scoprire fragile rendendoti umile perché devi obbedire a qualcosa che non puoi governare, anche se nella società moderna si tende ad andare avanti lo stesso come dei bulldozer dopati e a cancellare il periodo della convalescenza che permetterebbe al corpo di riprendersi per bene.

Diciamo che avrei preferito godermi il Triduo a modo mio: andando in Duomo a cantare per tutte le celebrazioni in programma, per le quali ho fatto prove col coro per settimane, essere pimpante e più simpatica, fare i tortellini, andare a quell’incontro e non rimandarlo, fare due passi col vento, non invitare il marito al “party dei bacilli” e chissà quanto altro…

Ma sta andando in altro modo e vediamo di trarre il meglio.

Buona Santa Pasqua a ciascuno di voi! E un giga bendessa di Resurrezione!

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Parlare di qualcosa è diverso da viverla.

Una precisazione forse eccessiva, che non vuole essere un rimprovero: infatti un cardiochirurgo può benissimo parlare di infarti senza averne avuto uno e un sacerdote cattolico di Matrimonio senza essere sposato.

E così la novità. Due lineette rosa: la conferma della tua presenza già da qualche mese nelle mie viscere, piccolo tenace esserino umano! È stata una grande gioia scoprire questo Dono: io e mio marito siamo molto felici!

E così da semplice sostenitrice “a parole” della vita dal suo concepimento mi ritrovo a portarne una piccolissima dentro di me ma che dall’inizio si difende e si fa sentire – con nausee e corredo di sintomi arci noti.

Questo avvenimento mi ha aiutata ancora ad approfondire e mi ha dato occhi nuovi. Mi ha fatto tanto pensare: com’è possibile che ho visto in ecografia alla sesta settimana il cuore pulsante di mio figlio e qualcuno osa dire che nei primi tempi di gestazione è solo un grumo di cellule e non una persona? Com’è possibile eliminare quel bambino con l’“aborto terapeutico” – che assurdità la sola espressione – fino al terzo mese, ovvero quando è già completamente formato?

Una mamma non eliminerebbe mai quell’esserino se messa davanti alla verità e cioè che dentro di lei è già partita una nuova vita, che dipende da lei quasi in tutto ma che le è estranea. Una donna, soprattutto se sola, avrebbe bisogno di sostegno e incoraggiamento e non di vie di uscita apparentemente facili che non le impediranno di essere madre ma la renderanno madre di un bambino morto…

La Beata Madre Teresa di Calcutta, nel suo autorevole discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace nel 1979, disse che “il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto”: infatti, “se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla.” Credo che queste parole siano vere e che ne possiamo trovare riscontro nella società occidentale di oggi così dilaniata e sofferente.

Il mio Bendessa oggi va a tutte quelle persone che si impegnano a favore della vita dal suo concepimento, a coloro che aiutano le donne in difficoltà, alle donne che portano in grembo una nuova vita perché siano coscienti del ruolo importantissimo che hanno nella famiglia e nella società e del Dono a loro affidato.

Viva la vita!

Bendessa!

“Bendessa” di Cecilia McCamerons Piazza

30 gennaio 2016. Io c’ero. Non fisicamente al circo Massimo ma con il cuore, l’anima, il cervello, i nervi e gli occhi c’ero!

Ore 14, in anticipo, io e le altre due donne di casa ci sistemiamo sulle poltrone con le coperte davanti al televisore per la diretta. Sì, come nei migliori stereotipi sessisti, le donne a casa – chi controvoglia ma per una causa di forza maggiore molto “family day”: un cucciolo d’uomo in arrivo!! – a pregare, a fare il tifo (ci mancavano solo l’uncinetto e la teiera con la tisana) e gli uomini a combattere sul campo con alzataccia, striscione fatto in casa, bandiere, trombe da stadio, zaini colmi di provviste (perché una donna deve pensare anche alla salute culinaria del suo uomo affinché combatta bene!).

È stata una diretta bellissima. Un oceano di persone, di famiglie: dal palco non riuscivano a vedere il fondo, e dal fondo un amico ha fatto una foto che testimonia che non si vedeva il maxischermo! E poi le tante persone che non sono riuscite ad entrare e sono rimaste fuori dalle transenne, a lato.

Mi sono emozionata e animata in più passaggi sia per le belle e vere parole dette da chi è intervenuto (due per tutti la tostissima dottoressa croata Zelijka Karkic e il chiarissimo Massimo Gandolfini), sia per i volti conosciuti e amici che venivano ripresi, i numerosi bambini, il clima festoso e gioioso che si respirava anche attraverso lo schermo! Invidiosa perché avrei voluto essere là anche col corpo, a stancarmi e sbracciarmi, ringraziare e salutare. Stizzita perché non riprendevano mai lo striscione dei nostri uomini anche se si erano messi piuttosto avanti (poi in realtà lo abbiamo visto pure al Tg2). Ma soprattutto felicissima di appartenere a questo popolo che si batte per la realtà, per i diritti dei più deboli – i bambini – e per la bellezza della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio.

Come non mandare un bendessa ad ognuno che ha partecipato? Organizzatori, servizio d’ordine, tecnici audio, mamme e papà, bambini, responsabili di pullman, amici, mogli e mariti, nonni, partecipanti alla diretta tv e streaming, donatori di offerte, fotografi…?

Un popolo che ha dalla sua parte la Verità che deve far conoscere e gridare dai tetti, altrimenti è complice anche lui del male e delle aberrazioni che potranno accadere.

A noi la battaglia e a Dio la vittoria!

Bendessa!

“Bendessa” di Cecilia McCamerons Piazza

Era da tanto che non succedeva. Ci sono cascata di nuovo!
Mi sono fatta prendere e trascinare e risucchiare in discussioni “feisbucchiane”. E non dispute sul colore di ombretto della tal attrice o sul tempo atmosferico ma sul femminismo e sul ddl Cirinnà. Mi piacciono le emozioni forti.

Andando al sodo della questione, siamo arrivati al “punto di non incontro” e da più persone cominciavano a fioccare le solite “carte magiche” del Medioevo e del bigottismo, quelle che, secondo loro, dovrebbero mettere a tacere l’interlocutore perché incapace di intendere e volere, acefalo, ragnateloso e simili.

La cosa che mi fa chiudere la vena di solito sono le offese dirette alla persona, fatte da perfetti sconosciuti – immaginate la varietà colorita che può nascondersi dietro una foto profilo da palestrato e uno schermo. Bene. Quel giorno ne sono arrivate parecchie. A un certo punto le vie sono due: o decidi di continuare ad argomentare e ragionare cercando di mantenere un linguaggio umano o decidi di chiudere tutto, lasciar perdere, uscire elegantemente con una frase ad effetto, un saluto.

Questa volta ho seguito la seconda via: sono uscita dalla discussione e ho smesso di seguire le notifiche. Ne va della propria salute psichica. Non sono Dio. Non sono la salvatrice dell’Universo.
Tempo fa sarei rimasta a rimuginare ore su cosa rispondere, sarei ritornata a vedere le risposte, mi sarei arrabbiata (moti di ira ne ho ancora oggi ma cerco di non alimentarli!).

Poi ho pensato che tutto questo odio vomitato deriva forse anche da una ferita personale. Da qualcosa che cerchiamo di nascondere o meno, che ci ha procurato dolore. Una ferita che genera odio e male.
 E come lo fermi il male? Solo col bene, non permettendo alla spirale di propagarsi. E certe volte prendere su di sé questo male e non rispondere con altro male ma col bene costa fatica, una faticaccia.

Ma Qualcun altro lo ha già fatto e ci fa da Via.

Quindi grazie alle ferite proprie e altrui perché permettono di crescere.

Bendessa!

 

“Bendessa” di Cecilia McCamerons Piazza

La scorsa settimana è piovuto per un’intera giornata. La prima di pioggia nella nuova città dove io e il mio maritino abitiamo da quando ci siamo sposati: ero sconvolta per l’avvenimento! Credo che ce ne fosse proprio bisogno, di acqua, qui in zona – anche se qualcuno magari avrebbe preferito la neve dal momento che non ce n’é traccia sugli alti monti e temo che la stagione delle settimane bianche non stia andando molto bene… Ma questa è un’altra storia.

Pensavo che davvero capiamo quanto vale realmente una cosa solo quando viene a mancare. In questo caso mi riferisco al sole; chissà quante volte lo diamo per scontato: sorge, ruota coi suoi tempi, tramonta e certe volte regala dei colori meravigliosi e romantici come l’altro giorno sul Lago di Garda col maritino. (Sì, lo so che è un moto apparente e che è la Terra a girare… ma non è questo il punto adesso!).

Finché è presente diamo per scontato il suo calore che dà vita alle piante, buon umore e vitamina D, che asciuga i panni lavati e stesi con amore, o la sua luce che permette di vedere ciò che ci circonda, i colori, i particolari.
 Grazie Sole perché ci sei. Grazie anche a quel Dio che ti ha pensato e creato. Perché dire che tutto ciò è frutto di un “caso” mi puzza di semplificazione superficiale.

In realtà anche quando piove, diluvia o c’è la nebbia (prima abitavo in pianura e mi ero abituata a certi nebbioni tristi…) il sole c’è sempre! È bello sapere questo. Che prima o poi tornerà il sereno e che ogni mattina spunterà il sole all’orizzonte.

È bello avere delle certezze nella vita, no? Ci danno sicurezza. Come si farebbe a vivere in un mondo in cui ogni sera non si sa se il sole spunterà la mattina dopo? Terribile e crudele.

Mi torna quindi alla mente, o meglio al cuore – “ri-cordare” – questa frase sentita più volte ma della quale non conosco l’origine: “Non ci sarà mai notte così lunga da impedire al sole di sorgere”. È proprio così…

E allora Bendessa!