“Bendessa” di Cecilia McCamerons

Se c’è una figlia c’è pure una mamma, in particolare la sua di mamma. Una mamma è tale perché c’è una figlia; una figlia è tale perché ha una mamma (e un papà, certamente).
Logico. Non c’è l’una senza l’altra.
Oggi c’è chi sostiene che “i figli si concepiscono nella testa” (letto su Facebook) o che sono di chi li vuole o di chi li “ama” (vedi la sentenza della corte a Trento). Una cosa terribile e aberrante che nega il diritto di ogni creatura di avere un padre e una madre, una famiglia.
Lo so che non va di moda dire che i figli vengono al mondo dall’amore di uno sposo e una sposa ma tant’è, infatti la verità è immutabile mica segue le mode no? Si obietterà che i figli nascono anche al di fuori del matrimonio, lo so bene, ma sempre da un uomo e da una donna e a me piace pensare alla famiglia come al luogo prescelto per la nascita e l’educazione dei figli. “La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda, e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore”, ma questo è un altro post.

Io sono diventata mamma 7 mesi (+ 9) fa: si diventa mamma da subito, dal concepimento. Non vorrete essere dei cripto-abortisti? 😉 Io infatti ho festeggiato la prima festa della mamma l’anno scorso col mio bel pancione 😍.

Quanti cambiamenti porta da subito con sé questo essere mamma: nausee, voglie strane (io di olive e cetriolini sott’aceto), la pancia che cresce e occupa sempre più spazio, sbalzi di umore, lacrime di felicità e inadeguatezza. Poi si aggiungono le notti insonni, giorni che diventano notti, pannolini da cambiare ad ogni ora, pianti, capelli arruffati e occhiaie, solitudine e pianti, male al seno, routine stravolta…
Lo ammetto, non pensavo fosse così difficile essere mamma, avevo un’idea molto idealizzata ma per amore e per quel legame ormonale speciale che lega la mamma alla sua creatura, la fatica si trasforma davvero in gioia e meraviglia, si accompagna a stupore e commozione.

E allora bendessa figlia mia, Teresa Maria, di avermi messo e mettermi tutt’ora in discussione, di farmi crescere, di spronarmi a migliorare per te, per essere una mamma migliore.
Bendessa, fragolina mia, per il tuo profumo, i tuoi sorrisi, le manine che afferrano, le guanciotte rosse da mangiare, gli occhietti vispi, la risatina cristallina e i gorgheggi sbavosi.
Bendessa amorino mio, perché sei un essere diverso da me e hai i tuoi bisogni, i tuoi tempi, i tuoi diritti: non sei un bambolotto per farmi felice ma io e papà abbiamo il dovere di renderti felice.

Bendessa Teresina dalla tua mamma!

“Bendessa” di Cecilia McCamerons

“Butteresti via tuo figlio solo per un cromosoma in più?”

All’interno di un gruppo Facebook di mamme si parlava di aborto e, in un post in cui si accennava alla possibile soppressione di un feto con sindrome di Down, io ho scritto questo.

Apriti cielo. “Ognuno in propria coscienza deve essere libero di fare le sue scelte”, “non ti puoi permettere di giudicare”, “ma che termini usi? il bambino non lo butti via”, “con te non prenderei nemmeno un caffè”, “farà lei le sue scelte secondo coscienza”, “parli così perché sei sicuramente ignorante”, “è una sua scelta che avrà preso in coscienza”… Ecco l’idea delle risposte alla mia domanda.

Non so perché ma certi atteggiamenti, certe risposte non me le aspetterei da una donna, e perciò mi colpiscono di più. La mia “me” incazzosa manderebbe a quel paese tutti dopo i primi commenti denigratori, mentre quella ipertrofica vorrebbe salvare il mondo da sola e possibilmente subito, altro che libertà di scelta e libero arbitrio ecc. Ma la mia “me” idealista spera ancora nella coscienza buona dell’essere umano e in particolare della sua metà femminile, per natura propensa all’accoglienza e al sacrificio di sé. (Con questo non voglio assolutamente entrare – oggi – nella discussione donne-meglio-degli-uomini o viceversa: ringrazio semplicemente Dio perché ci siamo entrambi! Vi immaginate un mondo di sole donne magari col ciclo coincidente…?).

Sì, invece che “buttare” potevo scrivere “far uscire dall’utero artificialmente e prima del tempo così che non sopravviva” o “abortire terapeuticamente” ma non sono un’amante dell’antilingua e dei giri di parole: amo la verità.
Mi ha colpito molto l’insistente riproporsi della coscienza libera di ciascuno. Certo ognuno (maggiorenne capace di intendere e volere) decide da sé ma credo che possa fare una scelta davvero libera se conosce la verità, cioè che suo figlio c’è già, esiste anche se ha un numero di cromosomi maggiore o il labbro leporino o una mano mancante, non se gli raccontano che abortire è la fine della sofferenza sua e del figlio.
Che poi… decidere con criterio e lucidità di abortire non è pure un’aggravante? Vabbè.

Tutta questa ponderatezza mi fa pensare per contrasto netto all’imprevedibile, inspiegabilmente naturale Mistero dell’aborto spontaneo: una giovane amica qualche giorno fa ha dato alla luce la sua bimba morta. All’enorme dolore che può provocare questo evento nella vita di una mamma e di una famiglia, accosto il dolore dell’aborto “volontario” che però viene taciuto, nascosto – come un vero tabù – ma che prima o poi si presenta nella vita della donna, ma anche del papà.

Come ha trovato me, lascio a te, lettore, questo interessante intervento della dottoressa Cinzia Baccaglini intitolato “L’aborto non lascia traccia?”.  Che ha come presupposto, per dirla con parole sue, “la verità nella carità, ma per carità la verità!”.

Lo stesso giorno di questa discussione mi raggiunge via radio la bellissima notizia della nascita al Policlinico Gemelli dell’Hospice Perinatale “non un luogo ma un modo di curare il feto e il neonato. Anche nelle condizioni patologiche più estreme si può dare speranza di prevenzione, cura e sollievo del dolore accompagnando non solo il feto con tutto l’approccio scientifico e clinico ma anche le famiglie. È questo il vero fondamento della medicina della speranza”  https://it.zenit.org/articles/lhospice-perinatale-come-risposta-scientifica-etica-ed-umana-alla-diagnosi-prenatale/ Il prof. Giuseppe Noia, Direttore della UOC Hospice Perinatale del Gemelli, dice che questa iniziativa si pone tra “due modi di pensiero antropologicamente opposti: il primo vive dell’illusione che eliminando il sofferente si possa eliminare la sofferenza, il secondo invece nel rispetto più totale della preziosità della vita umana, senza guardare alle dimensioni dell’essere umano ma solamente al suo valore, cerca di prevenire le malattie, cerca di curarle, cerca di limitare i danni fisici e psicologici del malato e delle famiglie, cerca di lenire la sofferenza fisica e psicologica, forte dell’assunzione di tre metodologie per affrontare la sofferenza umana: prevenire, curare, lenire il dolore”.

Anche a noi spetta la scelta del mondo che vorremmo.

Alle mamme e ai papà che devono portare la croce di un aborto spontaneo, alle mamme a cui viene taciuta la verità, alle mamme consapevoli: bendessa!

 

“Bendessa” di Cecilia McCamerons Piazza

“Bendessa” è uno stile di vita, una forma mentis. Mi spiego meglio: avete presente quando nella Lettera ai Romani San Paolo dice “benedite e non maledite” (Romani 12, 14)? Ecco, l’obiettivo ultimo e alto è quello. E verso tutti: amici e nemici, vicini e lontani. Ma intanto comincio dagli amici, che da qualche parte bisognerà pur cominciare!

“Bendessa” è un’espressione dialettale della mia terra d’origine: Modena. Noi cittadini modenesi non usiamo il dialetto come fanno in Veneto o in altre regioni italiane, quindi raramente sentirete ragazzi esprimersi in dialetto tra loro; piuttosto qualche anziano al bar o al parco. Purtroppo è così, dico purtroppo perché il dialetto mi sa di radici, tradizione, appartenenza. Anche in casa non ho mai avuto occasione di parlarlo in quanto due nonni sono morti che ero piccola, mentre quelli rimasti non lo hanno mai parlato. Quello che so del “nostro” dialetto, alcune frasi ed espressioni, l’ho imparato dai vicini di casa (filtrando le bestemmie…) e da mamma e papà.

Una delle più sentite o che comunque più mi è rimasta in mente è proprio “bendessa”.
Ma cosa significa?!
Da quello che mi hanno spiegato è la contrazione modenese di “ti benedica”, sottinteso Dio, e si usa in risposta ad uno starnuto o colpo di tosse. Addirittura un collega farmacista con cui ho lavorato mi disse che c’era una risposta ben precisa da dare a questa espressione ma non me l’ha mai rivelata… Chissà che in un futuro non lo riesca a scoprirla!

“Bendessa” per me è una cosa bellissima, una benedizione in piena regola da distribuire appena si presenta l’occasione! E da un anno a questa parte ho accantonato il classico “salute” e a chiunque, modenese o meno, che capisca o meno, rispondo “bendessa!”. Qualcuno poi, incuriosito, mi chiede cosa significa e io spiego, orgogliosa della “mia” lingua.
Non contenta ho cominciato ad usare questa benedizione per compleanni, ricorrenze varie, sempre! Sono riuscita a contagiare anche quel veneto di mio marito e pure il “Mi” dei Mienmiuaif, tanto che mi ha chiesto di iniziare una rubrica proprio con questo titolo. Pensavo a una rubrica positiva, che parli di occasioni, situazioni attinte dalla realtà del quotidiano per cui benedire Dio e gli altri.
Alla prossima!

Bendessa!