Coming out

“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia

Questo episodio, se così si può definire, è dedicato a un tema per me delicato. Voglio infatti approfittare di questo spazio per fare coming out, o outing, insomma per uscire allo scoperto. Si tratta di una pratica che ho tenuto nascosta per lunghi anni, preoccupato di come avrebbero reagito amici e parenti, ma ora sono stufo. Sono stufo di fingere, di mostrarmi per ciò che non sono. Il mio amico Marco Sermarini mi ha dato il coraggio di balzare all’aria aperta e tornare a respirare, e lo ha fatto con un breve articoletto su Chesterton e i suoi soldatini. Ebbene sì, il tema della mia confessione è proprio questo: talvolta io gioco ancora coi pupazzi dei supereroi, e non me ne vergogno. A dire la verità, dovrei vergognarmi per due fatti: la grande quantità di soldi spesa, quando li comprai via internet, e il fatto che sono tutte figures da collezione, per cui inadatte al gioco. Per il resto, trovo disdicevole che un uomo adulto non possa dilettarsi con giocattoli e costruzioni, come se mattoncini LEGO e soldatini di plastica fossero esclusiva dei bambini. Nella migliore delle ipotesi, questa credenza deriva da astruse teorie secondo cui certi giochi sono funzionali esclusivamente alla crescita del bambino, convinzione che pretende di racchiudere la spontaneità del gioco in una logica cognitivista, in uno schema cioè che di fanciullesco non ha neanche una virgola, calato com’è dall’alto di qualche cattedra di psicologia. Nella peggiore delle ipotesi, invece, si pensa ai bambini come a dei deficienti intenti a dilettarsi con inutili sciocchezze, le quali verranno lasciate perdere non appena i piccoli guadagneranno un po’ di senno. Io penso che una cosa vale la pena di farla da bambini come da adulti, altrimenti non vale la pena di farla mai. Lewis diceva (vado a memoria) che un libro vale la pena di leggerlo a dieci anni se vale la pena di leggerlo a cinquanta. Non ha senso permettere ai propri figli di leggere fiabe e costruire case sugli alberi se noi stessi riteniamo queste cose una perdita di tempo. Possiamo decidere di non farlo perché la cosa non ci diverte, come non ci divertirebbe passeggiare lungo un fiume o leggere saggi di economia. Ma non possiamo rifiutare giochi e nascondini come idiozie passeggere di un’età incantata, altrimenti dovremmo avere, quantomeno, l’onestà di rivelare ai nostri piccoli che stanno perdendo il loro tempo in futili attività, con tutto ciò che ne consegue. George Bernard Shaw, un puritano ben più austero di Chesterton, ma sulla cui genialità non può esservi alcun dubbio, disse a tal proposito: “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”.
Ecco, quindi, perché oggi io ho deciso di rivelare questa mia pratica, considerata innaturale per un uomo adulto, nella speranza che altri escano allo scoperto e celebrino con orgoglio la propria infantilità.

P.S.: L’articolo in questione (che potete leggere qui —> http://uomovivo.blogspot.it/2015/11/i-soldatini-e-i-pupazzetti-di-gilbert.html) riporta come l’autore inglese non avesse alcun problema ad ammettere che, sebbene adulto, amava dilettarsi con soldatini e pupazzetti.

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