“Ordinarie follie” (biellesi) di Edoardo Dantonia
Piergiorgio era un ragazzone forte ed energico, un giovane pieno di vita che amava scalare e arrampicare e a cui non mancavano certo prestanza e coraggio.
Egli era però in grado di fare cose che la semplice possanza fisica non è in grado di far fare; era in grado di scalare ostacoli ben più alti della montagna più erta.
Piergiorgio possedeva infatti un altro tipo di forza, di tutt’altro genere, che è la mitezza. Questa meravigliosa virtù cristiana non è, com’è comunemente creduto, una specie di apatia, un’assenza di reazione, ma è bensì la reazione suprema.
La mitezza, di cui il mio amico PG fu maestro, è innanzitutto far forza su sé stessi, è temperanza nelle tribolazioni, aderenza al progetto divino a discapito del proprio.
Il mite è quanto c’è di più lontano dal meditabondo santone indiano, è la perfetta antitesi del calmo monaco buddista; il mite è molto più simile al contadino che semina pazientemente, ma che è anche pronto a difendere con la falce il proprio campo e festeggiare col vino un buon raccolto.
Piergiorgio non lesinò una certa violenza ai fascisti che fecero irruzione in casa sua, ma fu paziente ed accorto nei confronti dei contestatori che lo attaccavano durante le assemblee universitarie; tenne alla larga con un bastone i teppisti che volevano strappare i volantini che aveva appeso alla bacheca dell’università, ma non si azzardò mai a rendere pan per focaccia a chi gli lanciava pietre durante le processioni religiose a cui partecipava.
Questo perché la sua persona era sempre posta in secondo piano. Mai egli usò le maniere forti per difendere sé stesso, ma sempre per difendere qualcosa di più alto. Perché è sacrosanto porgere l’altra guancia a seguito di uno schiaffo tanto quanto è doveroso difendere ciò in cui si crede (se veramente ci si crede).
Piergiorgio brillò per la sua forza spirituale, prima ancora che fisica; potremmo dire che la forza fisica era in lui sottomessa a quella morale e che non un dito si muoveva se non per suo preciso volere, il quale sempre conforme fu al volere di Dio.
Usando un paradosso, potremmo osare dire che Piergiorgio è beato non tanto per quel che fece, quanto per quel che non fece; non tanto per le imprese compiute, quanto per quelle evitate. E questo non per codardia, ma per un coraggio che oltrepassa infinitamente il banale amore per la battaglia di chi combatte solamente per il gusto di farlo.
Suonano quanto mai adatte le parole pronunciate dal buon Faramir ne Il Signore degli Anelli: “Ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo”.
Trovate spiegato il progetto su Piergiorgio Frassati a questo link.
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