“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia
L’idea di pranzo che il povero Biagio s’era fatto prima di sedersi a tavola stava sfumando piuttosto rapidamente. Da momento di comunione e ristoro, infatti, si stava trasformando in una vera e propria battaglia. Biagio non è uno che si tira indietro, quando si tratta di mangiare, ma a tutto c’è un limite, persino alle pareti del suo stomaco. Così, ogni portata rappresentava un attacco, e ogni sguardo proveniente dalla creatura rugosa che gli stava a lato una dichiarazione di guerra.
Nessuno sa dire quando sono nati e dove, questi esseri che nascondono i loro intenti criminosi dietro una patina di carezze e frasi amorevoli. Non è possibile nemmeno capire come e quando si nutrano, dal momento che dall’alba dei tempi nessun uomo ha mai potuto assistere a un tale evento, essendo questi costantemente impegnati nell’attuare le loro stregonerie culinarie. Quel che è certo è che il loro obiettivo non può che essere l’annientamento di quelli che loro si ostinano a chiamare “nipoti”, sebbene non vi sia altra prova di una relazione del genere che la debole testimonianza di altri strani esseri che si dicono loro “figli” (i quali pretendono di essere, nello stesso istante, i “genitori” dei “nipoti”). Questo annientamento consiste nel riempire il malcapitato di cibo fino a procurarne la morte. Che la morte avvenga per una effettiva esplosione o per un avvelenamento è difficile dirlo, siccome pochi sopravvivono a questi attentati, e questi pochi rimangono talmente traumatizzati da perdere il senno e desiderare ancora d’essere nutriti dalle malvagie cariatidi, come in una specie di sindrome di Stoccolma, fino a che la morte non sopraggiunge anche per loro.
Ma tralasciamo queste assurdità e torniamo al fatto.
Biagio si trovava esattamente in questa situazione, con un piatto pieno di arrosto e patate e lo sguardo della creatura puntato addosso. Esitò un istante per prendere fiato. Bastò.
“Che c’è, Biagio? Non ti piace?”
Biagio alzò gli occhi, incerto: “No no, figurati, nonna”. Sorrise più che potè, consapevole del pericolo che avrebbe corso a dire che non gli piaceva la pietanza. Non che la situazione fosse rosea di per sé, ma era meglio non rischiare di peggiorarla ulteriormente.
“Allora mangia, su”, fece la “nonna” sorridendo dolcemente, “ché ti vedo dimagrito”.
Ecco, quello doveva essere il segnale, la parola d’ordine. Dalle esigue testimonianze raccolte nei secoli, pare che queste parole indichino la prossimità del delitto. Biagio capì che non c’era più tempo: ora o mai più. Con un movimento fulmineo si allontanò dal tavolo e disse: “Oh, s’è fatto veramente tardi!”, battendosi una mano sulla pancia piena.
“Ma non hai finito il tuo arrosto”, la “nonna” indicò il piatto pieno per metà, con sguardo perplesso.
“Lo so, ma sono davvero in ritardo, scusami”.
La “nonna” rimase interdetta per un attimo. Biagio colse l’attimo e si lanciò verso la creatura, baciandola su entrambe le guance (alcuni studiosi ritengono che ciò la renda più docile, ma è ancora da dimostrare). Poi, senza attendere una reazione, corse verso la porta e la imboccò. Sentì la sedia strisciare sul pavimento, così accelerò il passo, riuscendo a conquistare il pianerottolo. Per qualche strana ragione, queste “nonne” sono molto lente, di conseguenza risulta facile seminarle, una volta che ci si è smarcati dalla tavola. I passi strascicati della creatura si avvicinavano. Biagio cominciò a scendere le scale quando la porta si aprì dietro di lui, per poi richiudersi subito dopo. Una volta in strada, la “nonna” gli apparve dal balconcino del secondo piano: “Ciao Biagio! Saluta tutti a casa!”.
“Certo, nonna, ciao!”
“Ci vediamo domenica prossima!”, gridò la “nonna” prima di rientrare. Biagio percepì quella frase come una minaccia, ma non le diede troppo peso: era salvo. Almeno per quella domenica.