Ho un rosario giallo in tasca. O forse è quello rosso, sono troppo pigro per controllare. Ma o è quello giallo o quello rosso. Poi ne ho un altro sul comodino, o in salotto, con la medaglietta della Vergine di Guadalupe, me l’ha regalato un’amica monaca (del Cuore Immacolato) messicana. Una corona “pregata” tantissimo che è stata in moltissimi luoghi santi. E altri in macchina, sparsi per la casa, persi in giro, regalati. Ettore Boschini, il “frate dei barboni” di Milano, lanciava i rosari dal finestrino della macchina a quelli che gli chiedevano qualche soldo quando era fermo al semaforo. Anche mia nonna aveva un rosario. Anche la nonna di mia nonna. Forse però loro non li lanciavano dal finestrino della macchina come fratel Ettore, ma di sicuro sapevano che cosa farsene. Non so se andasse di moda, all’epoca di mia nonna o della nonna di mia nonna, oggi sicuramente no, però anche allora era certamente un oggetto di attualità. Niente infatti è più attuale di una cosa eterna. Qualcosa del genere l’avevo letto da qualche parte, mi pare, ma non riesco a ricordare dove. Un santo, un filosofo. Un trapper. Non saprei. Non credo Sfera Ebbasta, il mio amico giudice di X Factor che l’altra sera ho visto in tv e pareva quasi un bravo ragazzo. Secondo me non è stato lui a dire che non c’è niente di più attuale di una cosa eterna, ma se anche fosse stato lui, sarebbe vero lo stesso. Ci sono verità a prova del mio amico Sfera Ebbasta (che fra l’altro pure lui è eterno).

Non capisco, invece, come mai non spopoli fra i giovani, il rosario. Oltre a essere eterno, è addirittura eco-friendly. Impatto meno di zero, si può recitare anche mentalmente, non si spreca neppure il fiato per parlare. E poi ti mette in connessione con il Padre, il creatore di tutte le cose visibili e invisibili: vuoi che non possa dare una mano Lui per tutto lo schifo che c’è in giro? Inquinamento, riscaldamento, rimbambimento. Le persone non sanno più chi sono, che cosa sono, dove sono, da dove vengono, dove vanno. Dirò alla mia amica Greta di lanciare la moda del rosario. Si può usare anche come collanina, mia moglie Anita ne ha di bellissimi realizzati dalla sua amica Laura e li usa così. Insomma, il rosario ha un sacco di vantaggi, soprattutto se si inizia a sgranare e si cerca di coordinare mano, mente e cuore, per entrare in contatto con la Regina del Rosario: la Madonna. L’eterno che piomba nel quotidiano con una dolcezza e una determinazione tutte femminili.

“Madre di Dio, prega per noi peccatori, ADESSO e nell’ORA DELLA NOSTRA MORTE”, diciamo cinquanta volte durante un Rosario (dopo anni ho imparato che con la maiuscola si può indicare la preghiera del Rosario, con la minuscola la corona, l’oggetto fisico. E c’è chi è in grado di contare con le dita e di recitare il Rosario senza rosario, pazzesco – faccio partecipe il mondo intero di queste mie scoperte. Poi dovrei far partecipe il mondo intero del fatto che cinquanta Ave Maria sarebbero un terzetto… un Rosario intero sono tre terzetti, i Misteri della Gioia, del Dolore e della Gloria… questo almeno fino a quando san Giovanni Paolo II non ha inventato pure i Misteri della Luce… e tanto altro che magari un giorno vi svelerò). Tornando a “Madre di Dio, prega per noi peccatori, ADESSO e nell’ORA DELLA NOSTRA MORTE”, questo in qualche modo significa che l’eternità la viviamo già adesso, è sempre attuale, è attualissima, e chiediamo alla Madonna di pregare per noi in questo istante, nella situazione in cui ci troviamo. Ma non solo, ogni Ave Maria ci permette di ricordare alla Mamma, ma forse più a noi stessi, che ci sarà un momento cruciale, nella nostra esistenza, l’ora della nostra morte, l’ora del bye bye pianeta terra, e lì sì che avremo bisogno di lei, lì sì che la Mamma sarà essenziale per farci nascere di nuovo, per partorirci alla Vita vera, quella fuori dal tempo, quella inimmaginabile per noi abituati a controllare i minuti sul display del cellulare. Quaggiù si tratta di fare una – più o meno lunga – passeggiata. Che poi tanto una passeggiata non è, ma con un rosario ben stretto fra le mani, magari catarifrangente, almeno evitiamo di farci tirare sotto tutte le volte che ci inoltriamo un po’ troppo nel buio.

Giuseppe Signorin

(Surrealismo, fantascienza, ma soprattutto demenza senile – non si spiegano altrimenti queste storielle dei Mienmiuaif nell’Iperspazio scritte dallo pseudo chitarrista, forse per contrastare le stories della cantante su Instagram)

«Ahhhhh!!!», l’urlo di Munch esce dalla bocca di Anita, mentre una piccola ma terribile gatta bianca, che conosco fin troppo bene, le attacca le caviglie.
«Nuvola! Anche tu qui?!».
«Certo».
«Come sei arrivata?».
«Ero nascosta nella Panda».
Anita si abbassa per coccolarla, come se non fosse appena stata morsa ferocemente. È convinta che sia il suo modo di trasmettere affetto.
Finite le coccole, Nuvola ci fa cenno di seguirla.
«Dove ci porti?».
«In un albergo ideato per far riposare i clienti dell’Iperspazio fra un acquisto e l’altro».
«E tu come lo sai?».
«Sono un gatto femmina, so tutto».
Riprendiamo il cammino, circondati da negozi specializzati in ogni cosa. Immaginatevi se tutte le diavolerie che si trovano da Tiger (Flying Tiger, o come si chiama, un incubo insomma) avessero il loro megastore.
L’albergo è vicino, tutto rosa, con scritto: «LA RAGIONE È FEMMINA».
Nuvola entra e saluta i presenti, poi ci conduce in una camera. Appoggio a terra le confezioni di acqua comprate nell’episodio precedente e mi stendo a letto, esausto. Cerco di non pensare a niente. Anita si sistema accanto a me.

«Ahhhhh!!!», l’urlo di Munch esce dalla mia bocca, prima ancora di riuscire a chiudere gli occhi.
Siamo sul soffitto. C’è un cellulare volante, grande almeno quanto noi, impostato sulla fotocamera. Ci fissa come se fosse umano e ci fa uno scatto dietro l’altro. Dei selfie, anche se tecnicamente non sono dei selfie: perché si possa parlare di selfie, infatti, bisogna farsi le foto da sé. Eppure la mia sensazione è la medesima di quando Anita mi stressa per farci dei selfie e mi sento succhiare l’anima. Lei invece è divertita, si mette di continuo in posa.
Mi alzo come un felino (percezione personale, forse non realistica) e mi sposto dal letto. Il cellulare lascia perdere Anita e riprende solo me.
«Cosa vuoi?».
«Sono il tuo selfie assassino».
«Ma tu non sei un selfie. Se fossi un selfie, sarei io a scattare e a fare l’inquadratura».
«Infatti sei tu».
«Non sto facendo nulla, io».
«Tu pensi sempre ai selfie. Disprezzi tua moglie perché ne fa un sacco, ma solo per invidia perché lei sa farli bene, tu invece no e vieni malissimo. Ma il tuo sogno è fare selfie in continuazione».
«Non scherziamo».
«Io sono te. Realizzo i tuoi desideri».
«Non è possibile, io detesto i selfie!».
«Tu sei un superbo, ti credi chissà chi. Invece sei un saputello. Uno sbarbatello con la barba da hipster. Ma ricordati che gli ultimi saranno i primi, i pubblicani e le prostitute ti passeranno davanti nel regno di Dio e il primo a entrare in Paradiso è stato un ladrone. Tu non hai capito niente, invece di prendertela con una donna, pensa a quante schifezze c’hai nel cuore. Sei un rancoroso e te la prendi con la donna che Dio ha messo al tuo fianco. La donna è l’unica creatura, insieme al Papa, a godere dell’infallibilità. Il Papa solo ex cathedra, fra l’altro. Vergognati a contraddire una donna! Tanto più tua moglie! Anita fa i selfie meglio di te e tu questo non lo vuoi accettare!».
Il mega cellulare c’è andato giù leggero… Sono stordito, come se avessi preso un pugno sul muso.
Noto però qualcosa che mi fa riflettere: le foto vengono sfocate, esattamente come quelle che farei io. Ho infatti un talento soprannaturale in questo, riesco a sfocare e far sembrare in movimento anche delle nature morte. Mentre rifletto, mi scappa di assumere una specie di posa per venire meglio… Sorrido sgraziatamente. È più forte di me. Capisco che il selfie ha ragione. Sono io. Sono io quello che sta scattando le foto.
Svengo.

Condividiamo la mega galattica prefazione di Costanza Miriano (troppo buona!!! ma visto che si parla di torte…) al nostro “Mienmiuaif Cake. Il libro che non ti insegna a cucinare”)

Certo, non so quanto sia obiettiva, perché io li amo, io li adoro questi due. Quando ho deciso di fare una festa per il mio compleanno, per la prima volta una festa importante invitando amici da tutta Italia, in una villa che un’altra amica mi offriva, e fuochi e champagne e maiali squartati e dolci guarniti di glassa leopardata e body di piume e glitter come se piovesse, ho deciso che non poteva mancare la band dei miei sogni. Che non è la Dave Matthews Band, e neppure gli U2 o i Pearl Jam o gli Smiths, che pure fra tutti se la cavano abbastanza con la musica.

No, ho deciso di puntare più in alto, cioè proprio altissimo, al Paradiso, e ho chiesto ai Mienmiuaif di venire a cantare per me. E ho gridato (il verbo «cantare» nel mio caso è un po’ un azzardo) a squarciagola «e trovati un tipo trascendentale, un vero radicale, che va alla Messa infrasettimanale» (Canzone per mollare un radical chic) per mesi, dopo quella festa che rimane condensata nel mio cuore come una goccia di allegria e bellezza alla quale attingere quando tutti quegli amici mi mancano.

Questi due mi fanno ridere, commuovere, mi costringono a pensare e mi fanno venire voglia di essere una persona migliore, mi fanno una specie di effetto Photoshop: li vedo e mi sento che potrei essere una persona più bella, non so, sarà la pelle di porcellana di Anita, sarà l’umorismo serissimo di Giuseppe. Secondo me è l’effetto che fanno i santi, cioè le persone consegnate al Signore.

Ecco, questo per dire quanto posso essere obiettiva con loro. Dovevo dirlo per onestà, e adesso forse la mia prefazione potrebbe non suonarvi affidabilissima, però è l’amore che ci fa conoscere davvero, dice sant’Agostino, quindi anche se li amo posso dire qualcosa di credibile su questo libro. Ecco, io dico che è un prezioso condensato di estetica – cioè la teoria dell’arte -, filosofia, teologia, umorismo, e soprattutto fede. È una specie di mappa per collocarsi nel mondo, c’è dentro tutto, c’è il senso della sofferenza e Netflix e i gatti, i libri e la musica, la Panda e la cheesecake, c’è Alfie e un matrimonio salvato da un’aspirina, le pentole bruciate nascoste e la Messa con le vecchiette, ci sono tecniche di preghiera da combattimento e cotolette e Radio Maria e Radio Deejay, c’è uno che non parla inglese e quasi finisce per confessarsi da un sacerdote americano, e non porta i meggins perché guida la Panda, c’è una che ha una voce d’angelo e fa morire dal ridere e piange molto. Ed è anche una storia bellissima, una storia d’amore, quindi le femmine dovrebbero assolutamente comprarlo tutte, se non altro per quel meraviglioso capitolo. E poi c’è l’Ingrediente principale, che non posso svelarvi, e c’è una playlist stupenda, con alcuni brani che neanche io conoscevo.

Io amo questo libro, non è uscito ma già lo devo regalare a decine di amici, perché è la prova scientifica, empirica, che i cattolici sono fantastici, sono intelligenti e creativi, sono belli e colti, hanno scelto Dio perché è oltre il cool, perché hanno letto Teresina e vogliono rubare il Paradiso. I cattolici sono quelli che funzionano, sono il contrario degli sfigati che il mondo vuol far credere, sono i soli veri felici. Ecco, questo libro è tutto ciò e molto di più, anzi io non ho capito bene cos’è, so solo che non è un libro di ricette, ed è bellissimo, e lo devo regalare a tutti.

 

Il libro che non ti insegna a cucinare su Amazon a questo link

Condividiamo il post uscito sul sito di Berica Editrice, emozionatissimi per questa prima avventura editoriale scritta insieme 😎😍💪🙏

L’ultima uscita della collana “UOMOVIVO – umorismo, vita di coppia, Dio”, di Berica Editrice, si chiama Mienmiuaif Cake. Il libro che non ti insegna a cucinare ed è la prima produzione letteraria scritta in coppia da Anita Baldisserotto e Giuseppe Signorin, la marito-moglie band dal nome impronunciabile “Mienmiuaif”, una storpiatura dell’inglese “Me and my wife”.

Il libro anticipa il disco omonimo che uscirà a distanza di pochi mesi e raccoglie una serie di testi relativi agli argomenti più cari al duo: la conversione e la religione cattolica in generale, la musica, l’arte, l’umorismo, il matrimonio.

Giocando con la metafora vita/torta, gli autori sostengono che è pieno di libri di ricette che vogliono insegnare a cucinare (e quindi a vivere), ma nessuno usa l’Ingrediente principale: Dio. Mienmiuaif Cake è invece un libro-torta che non vuole insegnare alcuna ricetta, ma mostrare l’esperienza concreta di come l’Ingrediente principale, una volta inserito nella propria vita, sia in grado di cambiarla radicalmente. E in meglio.

“È un prezioso condensato di estetica – cioè la teoria dell’arte -, filosofia, teologia, umorismo, e soprattutto fede. È una specie di mappa per collocarsi nel mondo, c’è dentro tutto, c’è il senso della sofferenza e Netflix e i gatti, i libri e la musica, la Panda e la cheesecake, c’è Alfie e un matrimonio salvato da un’aspirina, le pentole bruciate nascoste e la Messa con le vecchiette, ci sono tecniche di preghiera da combattimento e cotolette e Radio Maria e Radio Deejay, c’è uno che non parla inglese e quasi finisce per confessarsi da un sacerdote americano, e non porta i meggins perché guida la Panda, c’è una che ha una voce d’angelo e fa morire dal ridere e piange molto. Ed è anche una storia bellissima, una storia d’amore, quindi le femmine dovrebbero assolutamente comprarlo tutte, se non altro per quel meraviglioso capitolo”.

dalla prefazione di Costanza Miriano

 

“Mienmiuaif Cake. Il libro che non ti insegna a cucinare” è disponibile in formato cartaceo e ebook su Amazon, nel sito di Berica Editrice e nelle principali librerie digitali

Lettere a una moglie 2 di Giuseppe Signorin

Ho sempre più dubbi che le vacanze siano una conquista dell’umanità, amore mio. Organizzarle è stress allo stato puro. Al lavoro, prima di staccare, bisogna risolvere un sacco di problemi in fretta. Se poi le cose non vanno come si vorrebbe – e le cose non vanno mai come si vorrebbe -, frustrazione a palla. I ragazzi, fino ai 60 anni, si devastano in ogni modo. I più grandi cercano di realizzare in quei giorni tutti i loro sogni, perché si vive una volta sola. Finite le ferie, mezzi morti, si riprende e c’è da recuperare il tempo perso. Va beh, sono stato un po’ ottimista, ma più o meno le cose stanno così. L’ha detto anche Papa Francesco che l’essere umano non si è mai riposato tanto come oggi ma non è mai stato così stanco e vuoto. Abbiamo mille possibilità e cerchiamo fughe da ogni parte senza capire che il modo migliore di ricaricarsi è fermarsi un attimo e contemplare, ringraziare, fare pace con la propria storia per ripartire più leggeri e al tempo stesso più pieni. O almeno io ho capito così. In vacanza bisognerebbe stare un attimo fermi e rallentare. Anche ritrovarsi la casa allagata è un ottimo modo di passare le vacanze, comunque. C’è andata bene. Soprattutto se poi ci si ritrova meno soli con qualche topolino di campagna (non i “Cugini”) forse incuriosito dal caos domestico. Già nella prima serie di “Lettere a una moglie”, verso la fine, era apparso un topo, “Topo Secret”. Si trattava però di un episodio molto più onirico, mentre il buon Dio per questa nuova serie ci ha riservato qualcosa di ben più reale. Dei simpaticcissimi topini di campagna che vederseli sfrecciare in casa come minimo fa venire la schizofrenia: non saprei come descrivere altrimenti il nostro cambiamento di voce non appena li abbiamo visti. E anche di velocità. All’improvviso ci siamo trasformati in due voci bianche urlanti che saltavano sulle sedie, sul divano… Ma ogni inconveniente porta i suoi frutti. Il primo è “Nuvola”, la gattina bianca con uno scarabocchio grigio in testa che sto addestrando perché diventi una predatrice letale. Una gatta “gattivissima”, per rubare la battuta alla nostra amica Maria Rachele. Il secondo frutto non so ancora come si chiami, ma fra qualche settimana arriva: un’altra gattina, perché a mali estremi, estremi rimedi. E i topini di campagna per quel che mi riguarda sono mali estremi. Altro che i Cugini. Quindi due gatti, amore mio. Anzi, due gatte: su internet dicono che le femmine, per proteggere la prole, tendono a essere più combattive e aggressive soprattutto verso gli estranei. Non avevo dubbi. Lo so, c’è un’overdose di animali domestici, in giro, ma in questo caso Nuvola e chi verrà a farle compagnia sono qualcosa di più: due piccole bodyguard. Già con Nuvola, per quanto sia ancora minuscola, mi sento più sicuro. Dal tuo gattaro preferito per oggi è tutto. Passo e chiudo. Che Dio benedica i nostri animali da guardia presenti e futuri. Ti amo.

Se ti è piaciuta la lettera, vuoi aiutare i Mienmiuaif (Mia moglie ed io) e sei interessato al “prequel”: Lettere a una moglie 😎

Lettere a una moglie 2 di Giuseppe Signorin

La vita è fatta di dilemmi, amore mio. Accendo il condizionatore così dormo ma quando mi sveglio ho un cane che mi morde il collo e relativo mal di testa o non accendo il condizionatore così non dormo o dormo pochissimo per il troppo caldo ma quando mi sveglio non ho nessun cane che mi morde il collo senza relativo mal di testa? In fila per la Comunione, in chiesa, lascio che mi si superi a destra a sinistra in alto e in basso o taglio la strada a chi tenta il sorpasso e mi tengo il posto? In fila per la Confessione, lascio che mi si vada davanti con una scusa qualsiasi e a volte anche senza scusa o a un certo punto alzo le mani? «Porgi l’altra guancia», consiglia Cristo Amore. È quello che dovrei dire io a chi mi vuole fregare dopo avergli già schiaffeggiato un lato o il senso va interpretato in maniera differente? La vita è fatta di dilemmi, amore mio. «Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!», esortava l’atleta san Paolo. Temo che la gente interpreti sine glossa, alla lettera, i passi sbagliati. Tipo questo. In fila per la Comunione sembra di essere a un GP di Formula 1. In fila per la Confessione, dal medico di base. C’è sempre qualcuno che ha la pasta sul fuoco o un parente in fin di vita e non può proprio aspettare. In fila per la Confessione, probabilmente si potrebbe anche venire alle mani… tanto poi ci si va a confessare. In fila per la Comunione, però, la faccenda è più complicata. La maggior parte delle persone, quando mi precedi tu e stai per uscire dal banco in cui siamo seduti, fa passare anche me subito dietro. Capisce che non voglio rubare niente a nessuno, semplicemente siamo moglie e marito. Però man mano che si procede bisogna fare attenzione: c’è sempre chi fra moglie e marito vuole mettere il dito, che in questo caso significa infilarsi in qualche spiraglio fra di noi, magari in un mio attimo di indecisione, e dire «amen» prima del sottoscritto. Ma questo è il rischio di camminare insieme. La Chiesa non è un affare per solisti. «Ci ha riuniti tutti insieme Cristo Amore», recita un verso di una delle hit più conosciute da noi che frequentiamo certi luoghi. Si va da Cristo tutti insieme. Non stupiamoci di nulla. Anzi, forse il fatto che ci sia chi sgomita per raggiungere il Suo Corpo il prima possibile è uno dei pochi segni di vitalità nelle nostre parrocchie, dove tutto ormai ci parla di quanto siamo diventati borghesi, tiepidi, insipidi, dalle copertine dei settimanali vicino alle porte d’uscita al tono di voce con cui «rendiamo grazie a Dio». Sapere invece che qualcuno è ancora disposto a combattere, fosse anche nel momento peggiore per farlo, è una piccola speranza. Che Cristo Amore apprezzi i nostri residui di agonismo ma li indirizzi un po’ meglio… e abbassi la temperatura di qualche grado… «L’avena è un cereale», mi hai edotto questa mattina a colazione. «Ma dai? Pensavo fosse un cane», ti ho risposto e ho iniziato a ridere come un ubriaco, o uno che non ha dormito perché ha preferito non accendere il condizionatore. Sarò fuori come un balcone, oggi. Ti amo.   

 

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Lettere a una moglie 2 di Giuseppe Signorin

Dal diritto di lavorare fuori casa al dovere di farlo il passo è stato breve, amore mio. Ho letto l’ennesimo post su Facebook di una giovane mamma, forse casalinga, rattristata dal fatto che le sue amiche la trattino come una “privilegiata” perché sta a casa ad accudire i figli e quindi non lavora. Tipica trappola psicologica che fa sentire in colpa chi ha figli e decide di rimanere a casa, come se prendersi cura di casa e figli non potesse essere un lavoro. «Beata te che non lavori…». Certo, non è solo un lavoro, è molto di più, ma non penso sia questo che intendono le zitelle – magari sposate, magari plurimamme, sicuramente emancipatissime, ma comunque zitelle dentro – che se ne escono con espressioni del tipo «beata te che non lavori…». Lo dicono pure alle nostre amiche monache, «beate voi che siete monache…», vorrei vederle a fare la vita che fanno le nostre amiche monache… Monache a parte, non sto insinuando che sia sbagliato lavorare fuori casa, ma la libertà, anche psicologica, dev’essere a doppio senso. Decenni di lotte per combattere un sistema e diventare come i peggio moralisti, che ti fanno sentire male se non fai quello che qualcun altro gli ha messo in testa. Succede per il lavoro, ma non solo. Se una volta, si narra, ti “facevano la morale” perché ci si doveva sposare presto, fare tanti figli, non convivere, non avere rapporti prematrimoniali… oggi è tutto ribaltato. Ho sentito spesso discorsi moralistici sul fatto che ci si deve sposare solo dopo aver provato più di un “compagno” (tipico gergo comunista ihih), dopo aver passato un po’ di anni nella stessa casa, che non bisogna fare più di un tot di figli se no si è irresponsabili e bla bla bla. La lotta al moralismo è sfociata in un moralismo ancora peggiore. I nuovi moralisti sono attorno a noi, ma si sentono meglio, parafrasando un’ormai vecchia canzone di Frankie Hi-NRG MC, o come si scrive. Puntano il ditino e si sentono tolleranti e liberi. Più acidi dei vecchi moralisti. Ma grazie a Dio, Dio ci ama sempre. Dio ci ama senza moralismo. Anche quando vuole che cambiamo. Vuole che cambiamo perché ci ama, non per moralismo, non per puntare il ditino. Dio ci ama tutti. Ama anche le zitelle dentro di cui sopra, non come me che faccio una fatica sovrumana a separare le zitelle dentro dallo “zitellismo dentro”. Ama i nuovi moralisti. Ama addirittura tuo marito, che è peggio di loro e solo raramente ha la grazia di sentirsi tale. Dio ama tutti e ci ama sempre, amore mio. Anche quando sembra non esserci via di uscita, come in questi tempi bui. Come in questa notte oscura del mondo, per parafrasare san Giovanni della Croce oltre a Frankie Hi-NRG MC, o come si scrive. Juan de Yepes Álvarez, il doctor mysticus, il tuo santo patrono 2018, che abbiamo cercato di omaggiare nella nostra ultima canzone, “Mi ami anche di notte”, in cui hai sfoggiato dopo anni la tua loop station, creando una base molto cool. Che Dio ci doni il Suo amore. Yo. Ti amo.

 

Se ti è piaciuta la lettera, vuoi aiutare i Mienmiuaif e sei interessato al “prequel”: Lettere a una moglie 😎

Volevate passare un’estate tranquilli senza la marito-moglie band del supermercato? Non fatelo!

Portateci sotto l’ombrellone (o sotto un pino, a seconda della destinazione) mettendo nel carrello della spesa per le vacanze il libro di “contemplazioni domestiche” scritto dallo pseudo-chitarrista dei Mienmiuaif,Lettere a una moglie (ovvero la genesi del duo con l’anello noto in tutto il mondo come Miemiuaif) (disponibile anche in ebook), magari in accoppiata psichedelica con il cd “Quando saremo piccoli” acquistabile in esclusiva nello shop online di Berica Editrice.

Sono più enigmatici della settimana enigmistica.

Sempre vostri,

Giuseppe + Anita

=

Mienmiuaif

 

 

Lettere a una moglie 2 di Giuseppe Signorin

Sei venuta da me tutta trafelata perché avevi visto una cavalletta partorire, amore mio. Mi hai detto che ce n’era anche un’altra. Sulla finestra. Sono rimasto sbigottito. Sono corso a vedere. Non capivo. Guardavo e non capivo. «Ma sei sicura che stia partorendo?». Siccome la realtà non è abbastanza chiara, sono andato su Google perché mi è venuto un dubbio: ma le cavallette non depositano le uova? Le cavallette su Google sì. «E allora secondo te cosa sta facendo?». «Di sicuro non sta partorendo. E poi, se partorisce, la cavalletta junior dove va a finire, cade a terra?». Per qualche istante, nel pianeta terra, le cavallette hanno partorito. So bene quanto le tue certezze modifichino la realtà. Grazie a Dio c’è Google. Questo per dire che il tuo umorismo è geniale e assoluto. E siamo invasi da cavallette. Sui muri, sulle finestre. In agguato, appena usciamo dalla porta sul retro. In agguato, appena usciamo dalla porta davanti. Cosa abbiamo combinato per meritare l’ottava piaga d’Egitto in provincia di Vicenza? Saltano da tutte le parti. Potremmo farle saltare in padella. Hanno il contenuto proteico di una bistecca (fonte Ansa) e pare che siano pure buone da mangiare, magari fritte: Giovanni Battista ne era ghiotto e si dice che in futuro torneranno di moda. Insomma, le interpretiamo come un castigo o una leccornia? Io preferisco il melone, soprattutto d’estate, ma non diamo nulla per scontato. Pensa al porridge, non avrei mai pensato di affezionarmici. Sì, mi sto arrampicando sugli specchi, come la cavalletta pseudo partoriente sul vetro della finestra. Ma non so come dirtelo, che sei diventata bravissima a cucinare. Sono giorni che mi chiedi di comunicarti questa cosa. Spontaneamente. Di più, te la comunico pubblicamente: in cucina, amore mio, stai diventando veramente super. È importante comunicare, fra marito e moglie. E poi tutti devono saperlo: mia moglie è una cuoca eccellente! Anche l’ultima torta gender, il tiramisù senza niente che ricordi un tiramisù ma tutto che ricordi una cheesecake alle fragole, che secondo la ricetta di Benedetta Parodi però è un tiramisù… Insomma, buonissima, amore mio. Ti perdono l’ideologia gender applicata all’arte culinaria. E l’insalata di riso. Per non parlare delle vellutate. A dire il vero, fin dall’inizio del nostro matrimonio il tuo talento tra i fornelli aveva dato segni di vita, sciocco e crudele io a non essermene accorto. Le notissime “patate all’Anita”, che secondo una canzone sessista dei Mienmiuaif sono una “specie di purè”, erano un primo indizio. Ma il talento è pericoloso: ci vuole tanta umiltà, ad accompagnarlo. Perché il dubbio può sorgere: non è che ti sei montata la testa e stai allevando tu tutte queste cavallette per farmi qualche manicaretto? Che Dio abbia cura del mio regime alimentare e Giovanni Battista non interceda troppo. Ti amo.

 

Se ti è piaciuta la lettera, vuoi aiutare i Mienmiuaif e sei interessato al “prequel”: Lettere a una moglie 😎

Lettere a una moglie 2 di Giuseppe Signorin

«L’animale che mi porto dentro non mi fa vivere felice mai», cantava Battiato, amore mio. Più che un animale, noto che molte persone (a volte pure il punk di tuo marito, come ben sai), si portano dentro un radical chic e vivono ancora peggio che se si portassero dentro un animale. Perché gli istinti animali, le “passioni”, fanno sì soffrire, ma lasciano spazio anche a una certa dose di umiltà. Si chiamano “bassi” istinti, non a caso. Esserne schiavi non è mai del tutto un vanto, ci si sente comunque un po’ terra terra, per quanto della “terra” si assecondi il lato peggiore. Gli istinti “radical”, invece, sono più subdoli. Vanno a braccetto con un atteggiamento pieno di spocchia tipico di chi si sente molto intelligente. Grazie a Dio ti sono rimasti pochissimi istinti radical, amore mio. Forse solo una certa tendenza a idolatrare l’inglese, ma il lavoro che sto compiendo da anni su questo fronte, fin dal nome della band in cui canti, è notevole e sta producendo i suoi frutti. Sei molto più felice di quando eri una studentessa universitaria femminista, mentalmente aperta, convinta che un anno in Erasmus equivalesse a un pellegrinaggio a La Mecca, affascinata da qualsiasi filosofia o religione esotica e new age, tollerante nei confronti di ogni genere di relazione fra persone consenzienti. Io uguale, anzi peggio: ascoltavo musica noise, quindi rumore, soffrendo come un cane perché in realtà faceva schifo, ma almeno mi dava un tono. Certo, non ci sono più le mezze stagioni, e neppure i radical chic di una volta, come li ha definiti Tom Wolfe: la «sinistra al caviale» o il «progressismo da limousine». Ne rimangono diversi esemplari, ma si sono aggiunte delle figure ulteriori, più evolute. Il virus è passato in altre categorie, si è trasformato in qualcos’altro. Non è necessario che c’entrino i soldi o la politica, la quintessenza radical si può fiutare in altri contesti, con forme nuove. La stessa definizione è più fluida. A buona parte degli studenti universitari viene di fatto iniettata una dose variabile di questo virus, credendo sia un vaccino, che poi si manifesta in un modo di pensare omologato e falsamente “radicale”, contrario a ogni limite, alimentato dal sogno di una società libera e liquida. Che ovviamente, in quanto tale, fa acqua da tutte le parti. Una società illuminata e tollerante, ma se qualcuno, per esempio, ha obiezioni sul “matrimonio gay” o sul concetto di autodeterminazione sessuale, ecco, lì scatta l’odio. Anzi, peggio. Lì sono gli altri che odiano. Se qualcuno ha obiezioni sul matrimonio gay, odia i gay. E quindi va eliminato. Non fisicamente, magari, ma verbalmente sì. E le parole sono pietre. Questo è un virus, amore mio. Noi ne stiamo guarendo un po’ alla volta, chiedendo a Dio l’antidoto, chiedendo di farci sentire piccoli. Creature. E già stiamo molto meglio. Perché il radical chic che ci portiamo dentro non ci fa vivere felici mai. Che Dio ce ne scampi. Ti amo.

 

Se ti è piaciuta la lettera, vuoi aiutare i Mienmiuaif e sei interessato al “prequel”: Lettere a una moglie 😎