“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia

Quando un bambino, cioè un essere umano ancora intellettualmente libero, crea una nuova parola per tentare di esprimere qualcosa per lui inesprimibile, ho come l’impressione che il mondo si fermi per un istante. Mi sembra quasi che esso venga riavviato per accogliere il nuovo vocabolo, come un computer viene riavviato per accogliere un nuovo programma, nonostante il bambino non abbia la pretesa di estendere al mondo intero la sua invenzione. Anzi, direi che il piccolo sia più propenso a tenerla stretta a sé, come se fosse l’impenetrabile tesoro di Montecristo. Oggi è accaduto esattamente questo, intorno a un fatto apparentemente ordinario, ma carico di grande suggestione e gaiezza.
Io e un mio cugino di non-so-quale grado abbiamo deciso di cogliere l’uva dalla piccola vigna di una nostra prozia (precisamente prozia per me, zia per lui). Chiamarla vigna è una gigantesca esagerazione, poiché l’idea che si ha di vigna è quella di una vasta distesa di terreno, costellata da innumerevoli vigneti. Eppure non esiste un’altra parola per descrivere la coltura di uva, per quanto piccola, per cui mi si passi questo termine. Ad accompagnare mio cugino c’era suo figlio, uno scricciolo di otto anni, curioso e intelligente come pochi, e per questo motivo abbastanza timido e taciturno. Mentre coglievamo i grappoli di quella squisitezza, gustandone ogni tanto qualche acino, il piccolo volle esprimere il concetto secondo cui il grappolo che aveva in mano era stato privato di gran parte dei suoi acini. Non essendo in possesso di un verbo simile, ma dovendo a tutti i costi rendere noi partecipi di quell’evento sensazionale, ne inventò uno sul momento: “disacinare”. Disse qualcosa del genere: “Questo grappolo si è disacinato”, suscitando in noi gran risate. Più tardi scoprii che disacinare è un verbo veramente esistente, ma rientra in una licenza poetica usata da pochi. Di fatto dunque non esiste nell’italiano corrente, e men che meno nell’italiano parlato da mio cugino. Egli ha semplicemente dato fondo alla sua memoria e ha unito il prefisso privativo “dis-” al sostantivo “acino”, rendendolo poi un verbo. Come Aulë si dilettò a creare i Nani, creature imperfette ma facenti pur sempre parte della Creazione di Ilúvatar, così il mio cuginetto si è dilettato a creare un nuovo termine, mai sentito e anche piuttosto cacofonico, ma facente in qualche modo parte della lingua italiana. C’è però un rischio nel compiere una tale operazione: creare può essere divino oppure diabolico. Farei meglio a dire che c’è chi crea e chi invece corrompe credendo di creare. Un bambino che crea un termine ad hoc per esprimere un’idea è divino. Un uomo che crea un termine per modificare la realtà è diabolico. Aulë infranse i dettami di Eru, ma non fu punito perché volle creare qualcosa di suo, senza intaccare in alcun modo Arda; Melkor fu punito perché volle prendere quel che già esisteva e corromperlo. Aulë creò i Nani, i quali infine prosperarono e fecero parte di Arda tanto quanto gli Elfi e gli Uomini; Melkor tentò di corrompere Elfi e Uomini, i quali divennero oscuri e malvagi. Aulë è il bambino che crea, Melkor è l’adulto che corrompe. Oggi ho visto Aulë nel mio cuginetto. Tutti i giorni vedo Melkor negli adulti che vogliono piegare la realtà ai loro capricci.