“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia
Una cosa assolutamente folle da fare nell’ordinario, o meglio una cosa assolutamente ordinaria da fare nella follia di ogni giorno, è cantare in auto. Io lo faccio sempre, che sia in autostrada dove nessuno può udirmi e vedermi distintamente oppure mentre vado al supermarket, quindi mostrando chiaramente a tutti questa particolare abitudine. Il motivo per cui lo faccio, oltre all’ovvio amore per la musica (anche se non ho mai avuto la costanza di imparare a suonare uno strumento), è riuscire a odiare un po’ di meno il mondo. Suonerà assurdo, ma è proprio così. Se canto, la mia attenzione è divisa tra dover osservare le indicazioni stradali e non andare fuori tempo, per cui non mi rimangono molte possibilità di insultare l’automobilista che mi taglia la strada o il pedone che si lancia da un marciapiede all’altro senza curarsi delle auto che passano. Inoltre, la musica dona al mio cuore serenità; mi mette, come si suol dire, “il cuore in pace”. Come la preghiera, la musica mi cambia, letteralmente. Per questo penso che la preghiera cantata sia una specie di “bomba” di pace.
Spesso questo metodo risulta però poco economico. Ho la tremenda fissa di non poter lasciare una canzone a metà: devo finirla, che possa cascare il cielo. Di conseguenza, molte volte compio il giro dell’isolato di casa mia anche due o tre volte, per poter terminare il “Dilemma” dell’adorato Giorgio Gaber, o “La Locomotiva” dell’immenso Guccini. Ma quei pochi euro spesi per la benzina sono niente rispetto al piacere che mi provoca accompagnare i miei cantanti preferiti fino alla fine dei loro pezzi. E siccome io non sono in grado di non trovare sempre qualche filosofia dietro a ogni cosa, è per me inevitabile ricevere e fare mie quelle che mi vengono esplicitamente consegnate dagli autori che prediligo. Così, tra un semaforo e l’altro, Gaber mi parla della “gran tenacia che è propria delle cose antiche”, denunciando questa “nuova sorte” che ci costringe ad arrenderci alle difficoltà dell’amore; o Guccini esprime appieno tutta la mia passione amorosa quando canta che vorrebbe “che oggi restasse oggi senza domani, o domani potesse attendere all’infinito”, e lo vorrebbe perché “non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei”; o ancora gli Amici del Vento partono all’attacco contro il crudele modernismo dicendo che “la fedeltà a una terra, la fedeltà a un amore son cose troppo grandi per chi non ha più cuore”; o infine quelli de Il Genio si rivelano letteralmente geniali cantando: “Sono sincero, provo il desiderio di averti fragile, zitta come immobile”, mettendo il luce uno dei più grandi rischi dell’amore: voler possedere l’altro come una bambola di pezza.