di Edoardo Dantonia, autore del western metafisico e chestertoniano “Rivolta alla Locanda”
Una delle cose più incredibili nel vero senso della parola, cioè che si stenta veramente a credere, della vita di Piergiorgio è l’assoluta segretezza con cui compì ogni atto di carità verso il prossimo.
“Non sappia la destra ciò che fa la sinistra”… non fu per il beato una vuota frase sentita di tanto in tanto in chiesa, ma un vero e proprio modo d’essere, di vivere. Non fece parola con alcuno delle numerose attività di assistenza che conduceva, se non con l’adorata sorella, che godeva della sua piena fiducia ed era forse la sua unica confidente.
Non disse ad anima viva, ad esempio, degli innumerevoli poveri che visitava nelle soffitte polverose che chiamavano casa, dando loro tutto ciò che poteva e anche di più; tenne per sé le frequenti visite che faceva ai malati del Cottolengo, quando passava con questi ore a leggere un libro o semplicemente ad ascoltarli parlare; mantenne un riserbo totale sui soldi che donava a chi ne abbisognava, chiedendoli ai genitori i quali, proprio a causa di questo silenzio, erano convinti che li scialacquasse in frivolezze. Soltanto quando la malattia lo riportò al Padre Nostro, il mondo si rese conto di chi veramente fosse quel giovane figlio di senatore, quando cioè al corteo funebre si unì una marea di persone che la famiglia non conosceva nemmeno lontanamente.
Erano tutti gli ultimi e i poveri che Piergiorgio aveva aiutato e di cui non si dimenticò nemmeno quando anche respirare era diventata un’impresa titanica.
Il silenzio fu rotto solamente quando quella massa umana decise di rendere omaggio al proprio benefattore; il segreto fu svelato solo per volontà di chi in quel segreto aveva da lui ricevuto così tanto e perciò non poteva non dargli l’ultimo saluto.
Piergiorgio non si limitò, oltretutto, a fare quello che ci si aspetterebbe da un giovane nella sua posizione: donare soldi a destra e a manca e firmare assegni. No, egli aveva ben compreso come la carità andasse al di là di banconote ed enti benefici.
La carità, come dice Hadjadj, esige un contatto che sfiora il pugilato. Non è carità quella che ci esenta dal fissare i nostri occhi in quelli del barbone che muore di freddo o in quelli della madre che da sola cresce tre figli nell’indigenza o anche in quelli del vecchio malato che non ha nessuno al mondo. Firmare assegni e spedirli dall’altra parte del mondo non è carità, ma filantropia. E la filantropia è certamente funzionale ed efficace, ma non è per nulla umana. Filantropia significa un vago sentimento verso l’umanità intera, cioè qualcosa di astratto e distante che non possiamo percepire in alcun modo.
Nella migliore delle ipotesi, la filantropia non è altro che la soddisfazione del proprio ego.
Carità è invece aver ben presente chi è quel povero a cui hai pagato il pranzo o l’anziana signora a cui hai dedicato tot ore del tuo tempo; è saperne il nome, la storia, le opinioni, i gusti.
Solo la carne è amabile, perciò laddove la carne sia tolta dall’equazione, potremo anche compiere l’atto più ammirevole, ma non sarà mai un atto di vero amore.
Non ci si innamora di un’idea, ma di un volto coi suoi occhi e i suoi capelli; non si ama l’umanità, ma questo o quell’altro uomo.
Piergiorgio non amava l’umanità, bensì gli uomini, le persone a cui si dedicava incessantemente; non firmava assegni né donava ingenti somme a qualche associazione per mettersi in pace la coscienza, ma si calava nell’umanità ferita e l’accompagnava in questa valle di lacrime.
Non uffici di banca, ma soffitte polverose.
L’ha ribloggato su l'ovvio e l'evidentee ha commentato:
“Piergiorgio non amava l’umanità, bensì gli uomini, le persone a cui si dedicava incessantemente; non firmava assegni né donava ingenti somme a qualche associazione per mettersi in pace la coscienza, ma si calava nell’umanità ferita e l’accompagnava in questa valle di lacrime.”
"Mi piace""Mi piace"