Ogni benedetto bambino

Trascinata dalla corrente impetuosa degli algoritmi di Facebook e dalla storia oggettiva che viviamo come famiglia, quella di avere un bimbo malato e di averlo saputo, almeno temuto da prima che uscisse alla luce, mi imbatto spesso in contenuti prolife. In Pagine Facebook dedicate; in associazioni, iniziative e soprattutto altre persone. C’è pieno di storie meravigliose, di persone coraggiose, di bambini accolti e amati comunque. Di figli tenuti in braccio un soffio e poi lasciati andare che hanno avuto tutto. Amore, battesimo, mamma, papà, fratelli, zii e poi l’eternità. Ci sono anche tante storie di bambini che sembravano gravemente menomati e invece grazie alla benedetta ostinazione delle loro mamme e papà sono nati, sani. Ecco, queste. Sarà che confidavo sarebbe andata così anche per noi… Ma bisogna stare attenti.

Un figlio sano è più bello, è più gratificante, ha più talenti visibili; fa fare molta, molta meno fatica (comunque tanta. E poi la vita può essere lunga e le fatiche diverse). Ma non è di una categoria superiore. Siamo più contenti tutti, ma non è da più di uno (già) malato.

Ho sperato tanto e pregato a lungo e continuo a farlo. Che bello sarebbe se le infermità che colpiscono il nostro venissero sanate. Che bello sarebbe se anche a lui fosse data la possibilità di affrontare la vita con tutti i sensi integri e uno sviluppo psichico e fisico nella norma. Non è così per ora. E forse non lo sarà mai.

Non lo so. Spero razionalmente e quasi con una sorta di addolorata indifferenza che la mia poca fede sia bastante e che Maria convinca Suo Figlio. Esiste la santa indifferenza, ci arriverò, per ora ho questo. Un’attesa addolorata eppure lieta che non sospende la vita.

Esiste anche la consapevolezza che seppure in modo misterioso e paradossale il suo stato concorra al suo e nostro bene e di chissà quanti altri molto più che non la salute. È difficile ragionarci sopra soprattutto per noi occidentali addestrati a fuggire ad ogni costo fatica e dolore. Spesso questa riflessione suscita fastidio, rabbia e rifiuto. Anche se a farla è la mamma.

Non soffri mai abbastanza oppure soffri troppo, “dai adesso basta piangere”. Sei sempre troppo angosciata oppure troppo su di morale e allora sicuramente è una difesa psicologica, una negazione. Non fai mai abbastanza per quello che sta male ma se poi fai troppo per lui allora i consigli non richiesti e a volte così schiaccianti (li sento così quando sono un tronco secco e non un giunco che si flette e così resiste o addirittura abbraccia) si spostano in massa sugli altri figli e sui loro bisogni.

Ogni figlio ha le sue esigenze e pure i suoi talenti. Ci sono quelli più intelligenti e quelli meno; quelli intonati e quelli no. E soprattutto non si vede tutto subito. Io scommetto su tutti i miei 4, sulla loro reale riuscita, che non c’entra quasi nulla con il successo. Anzi nulla.

Siamo tutti molto diversi.

Ma il valore, la dignità è la stessa. Di questo volevo parlare; della dignità.

Anzi, vorrei che me ne parlassero. Vorrei vedere più visi lieti e meno facce imbarazzate. Vorrei più senso dell’umorismo e meno pietismo. Vorrei , vorrei…

Secondo me però ora tocca proprio a me. Tocca – anche – a me offrire gioia e testimonianza. Testimoniare che il dolore non è un inibitore di gioia. Che non sapere tutto non è ignoranza del senso.

Che non avere la soluzione in mano fa parte della nostra meravigliosa incompiutezza e accentuerà il senso di sorpresa in questa vita (perché il Regno di Dio è vicino) e nell’altra.

Diremo insieme : “Ecco perché. Ecco come. Ecco per chi!”

 

(Paola Belletti – articolo uscito su La Croce e paolabelletti.wordpress.com)

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1 Comment

  1. L’ha ribloggato su Luca Zacchi, energia in relazionee ha commentato:
    Un pensiero, una preghiera, a tutti i bimbi che soffrono, ai loro cari, ed ogni speranza rivolta a chi asciuga ogni lacrima, e che riempie la Passione di luce vera, finché è solo Luce, chiara, calda, accogliente che rimane. Ed è per sempre ed oltre ogni nostra speranza.

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